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Primavera 2006. Appena costituita la Fondazione, Laura Mancuso e i suoi più prossimi collaboratori danno vita al “Premio Angelo D’Arrigo”.

Da allora, ai destinatari del premio verrà consegnata una scultura di Luca Zuppelli, che rappresenta i profili di Angelo e dell’aquila, in tutto simili alle due grandi steli in pietra lavica collocate sull’Etna, davanti al Rifugio Sapienza.

Fin dall’esordio fu chiaro: non si trattava tanto di conferire ulteriori riconoscimenti a campioni dello sport corteggiatissimi o a scienziati già insigniti di lauree ed onorificenze, piuttosto che ad artisti all’apice della visibilità o ad operatori di spicco nel campo dell’ambiente o dell’integrazione solidale.

Oggi come allora, per chi ha conosciuto Angelo e continua a far tesoro della sua straordinaria avventura esistenziale, il Premio rappresenta un’occasione per rinnovare - innanzitutto “in noi” e “fra di noi” - i valori che costituiscono il patrimonio genetico essenziale della Fondazione: da una parte, la volontà di rimetterci in gioco, ogni giorno, per “superare a piccoli passi i limiti” che le condizioni fisiche e di salute, i disagi economici, le avversità, le coercizioni politiche e religiose, i vincoli e gli schemi culturali e sociali ci impongono e ci fanno credere insormontabili; dall’altra parte, la disponibilità ad assecondare un processo di autentica metamorfosi, già in atto.

Più che la fama raggiunta, dunque, più che i successi riscossi e i consensi ottenuti, quale premessa indispensabile per assegnare il Premio Angelo D’Arrigo la nostra Fondazione valuta e indica questo sogno di aria, di luce e di libertà, coltivato per sé e per gli altri, questo coraggio di combattere le paure e i pregiudizi. E ciò in un tempo di paure agitate per interessi di parte, di pregiudizi ridiventati cemento per le muraglie tra i popoli…

In chiunque venga candidato al nostro Premio vorremmo intuire un piccolo – e, agli occhi di molti, probabilmente irrilevante - dettaglio, un elemento tanto agognato da Angelo quanto, in metafora, desiderato anche per noi: proprio all’altezza delle scapole, un lieve turgore, una sorta di duplice gemma pulsante e pronta alla schiusa di ali. Ali di Pegaso ed Ippogrifo, di farfalla e di condor, di api e di gru. Ali, umanissime ali, da irrobustire e collaudare.